Intervista di Gaetano Cuffari a Lucio Aimasso

Lucio Aimasso

Lucio Aimasso

Biografia

Come nella migliore tradizione letteraria, Lucio Aimasso ha svolto i lavori più disparati: cameriere, barista, noleggiatore di bici, addetto di sala nei musei, impiegato, responsabile di progetti di cooperazione allo sviluppo, educatore. Da qualche anno si è fermato ad Alba, ha messo su famiglia (una donna dolce e paziente e due fenomeni di otto e sei anni), girovaga nei boschi, scrive. I suoi racconti si sono aggiudicati premi in tutta Italia. Ha pubblicato con la Marcos y Marcos e il Gruppo Editoriale Mauri Spagnol. Nel 2016 è approdato a CasaSirio, con cui da anni sognava di pubblicare La notte in cui suonò Sven Vath.

Ciao Lucio, benvenuto su Vetrina delle Emozioni. Com’è nata l’idea di scrivere “La notte in cui suonò Sven Vath”?

Grazie dell’ospitalità. Lo spunto è nato nel 2010: all’epoca lavoravo come educatore in una zona “calda” di Torino e vivevo in mezzo a storie che mi colpivano a livello emotivo. Ho deciso di mischiare la vita dei ragazzi con cui lavoravo ai ricordi delle emozioni della mia adolescenza. Ne è uscito un manoscritto che era la base di partenza pe quello che poi è diventato La notte in cui suonò Sven Väth.

Il protagonista della storia si chiama Federico Morelli, soprannominato “il Moro”. Potresti presentarlo ai lettori di Vetrina?

Il Moro, nelle mie intenzioni, è l’adolescente che io non ho avuto il coraggio di essere fino in fondo (e forse è stato un bene): arrabbiato, crudo, spietato, incredibilmente sperso. Ma allo stesso tempo portatore di un’umanità dolce, in perenne ricerca di considerazione e approvazione. Federico Morelli è il ragazzo che ci portiamo dentro e che a volte, a dispetto dell’età, fa ancora capolino dietro le rughe.

In che contesto si svolgono le sue vicende di vita?

Il Moro vive in una cittadina piuttosto ricca e annoiata e i suoi punti di riferimento, nel bene e nel male, sono quelli di quasi tutti i ragazzi della sua età: una famiglia (nel suo caso un insieme di individualità incapaci di confrontarsi con gli altri) e in particolare una madre debole e un padre brutale; la scuola, che il protagonista frequenta quasi senza interesse e rimanendo bocciato più volte; il Mondo, la discoteca techno in cui lui e i suoi amici si rifugiano in nottate acide; e infine i Soci, gli amici, l’unica famiglia che il protagonista riconosce come tale.
A fare da contorno ci sono molti personaggi e molti contesti minori, ognuno però caratterizzato da una sua storia e da momenti che il Moro attraversa durante il libro.

Il tuo romanzo è ambientato in una cittadina, soprannominata la Chiusa, che sembra ricordarne tante altre. Cosa puoi dirci in merito?  

A sedici anni, e in generale nei momenti della vita di forte passaggio o rottura, percepiamo la realtà che ci circonda (e che conosciamo a menadito) come un limite, un confine fatto di vincoli e catene. Incontriamo il Moro in una fase in cui ha voglia di buttarsi nell’ignoto della vita, ha bisogno di sperimentare, di crescere e di superare le regole che gli sono state imposte.
Ecco allora che la cittadina in cui è nato e vive diventa la Chiusa, il simbolo delle costrizioni che è costretto a seguire per far piacere agli altri, in primis a suo padre.

I personaggi principali del racconto sono degli adolescenti. Chi sono, invece, i personaggi cosiddetti adulti?     

Partiamo dalle figure di riferimento: il padre e la madre. Entrambi incapaci di trasmettere il senso della cura, immersi nelle loro ossessioni (per la madre l’aspetto fisico, per il padre il successo e il potere) diventano agli occhi dei figli delle maschere grottesche raffigurate dai soprannomi che il Moro gli affibbia in modo impietoso: Pagliaccio e Bellina.
Nel suo vagare per la Chiusa, Federico ha più volte incontri/scontri con le figure adulte e quasi tutte gli rimandano un senso di impotenza nascosto dietro alla violenza, ai vizi, alle paure. Il mondo adulto per lui diventa quindi una galleria di figure di cui vergognarsi, le cui azioni sono più basate sull’impotenza che sulla volontà.
Ho volutamente calcato la mano sul mondo adulto di cui faccio parte perché sono un po’ stufo di sentir parlare di adolescenti allo sbando, quando invece quelli veramente allo sbando siamo noi.

La notte in cui suonò Sven Vath di Lucio Aimasso

La notte in cui suonò Sven Vath di Lucio Aimasso

Che differenze ci sono tra gli adolescenti descritti nel tuo libro e quelli di oggi ?

Questa è una delle domande che temevo di più all’uscita del libro. Da ragazzino odiavo gli adulti che puntavano il dito su di noi dicendoci chi eravamo e soprattutto cosa saremmo dovuti essere. Ora che sono passato dall’altra parte evito quindi di cadere nella stessa trappola. Nel libro ho descritto delle situazioni, ho tirato fuori molto marcio che avevo dentro, mi sono anche divertito a creare un modo immaginario, ma non ho la pretesa di saperne più degli altri. Gli adolescenti di oggi vivono i loro entusiasmi, le paure, le ansie, le frustrazioni e le aspettative con gli stessi sentimenti che caratterizzavano la mia generazione e quelle precedenti. Cambiano gli strumenti intorno a noi, ma le emozioni sono sempre quelle e con quelle dobbiamo farci i conti. Non pretendo di insegnare niente a nessuno, semplicemente auguro agli adolescenti di essere arrabbiati e di riuscire a incanalare quella rabbia nella costruzione di qualcosa di straordinario, a prescindere dei giudizi di noi adulti.

La notte in cui suonò Sven Vath, edito da CasaSirio e recentemente giunto nelle librerie, sta ottenendo critiche piuttosto lusinghiere. Qual é, a tuo giudizio, il suo punto di forza?

L’autore è sempre il peggior giudice di se stesso. Tuttavia credo di poter riconoscere al romanzo la capacità di raccontare una storia mettendo in luce tutta la ferocia e la tenerezza di certi sentimenti, senza cadere mai nel moralismo o nel giudizio sul comportamento o i pensieri dei personaggi. L’accoglienza che sta avendo il libro ha stupito anche me. A parte le recensioni specializzate (che fanno sempre piacere), ricevo molti messaggi di lettori a cui la storia in un modo o nell’altro “smuove le budella”. E questo è il miglior riconoscimento per chi scrive.

Stai già lavorando ad un nuovo romanzo?

Non smetto mai di scrivere. Durante l’editing di La notte in cui suonò Sven Väth mi sono concentrato su racconti brevi e sullo scheletro del nuovo romanzo, che avrà come protagonista un ex comico in disarmo, disilluso, cinico, in fuga da uno strozzino a cui deve dei soldi e da una vita ripiegata su se stessa. Il ritorno forzato alla cittadina di origine, l’incontro fugace con il fratello maggiore, il tuffo nei demoni della sua infanzia e soprattutto una convivenza forzata con la nipotina di sette anni lo trascineranno proprio dove non vuole arrivare: a diventare bene o male un adulto.
Perché in fondo scrivere è proprio questo: andare a fondo dentro di sé e riemergerne più completi.

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