Intervista di Gioia Lomasti e Marcello Lombardo ad Alessio Fabbri
Vetrina delle Emozioni ringrazia il Prof. Alessio Fabbri per questo contributo in esclusiva.
Alessio Fabbri (nato a Lugo di Romagna nel 1981), laureato in Lingue e Letterature Straniere ed in Studi Culturali Letterari, Linguistici e Filologici all’Università degli studi di Ferrara, è insegnante di Lingua Inglese ed appassionato ricercatore di storia e di genealogia. Ha esordito con il romanzo storico “La magiara” con Sillabe di Sale Editore nel 2015, e nello stesso anno ha pubblicato autonomamente le due raccolte di storie brevi “Gli elementi dell’essere” e “Continuum”.
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Quale attribuzione daresti alla parola scrittura e cosa per te significa essere autore di diverse opere letterarie.
– Scrivere non è per me un esercizio automatico, lo sviluppo di un talento innato, ma è invece una modalità espressiva che ho coltivato nel tempo, grazie anche alla mia formazione universitaria e alle letture che mi hanno formato da un punto di vista intellettuale e di coscienza. Per me è importante cercare di portare alla luce le dimensioni astratte, i pensieri a volte confusi, le idee che cercano definizione. Nascono così storie, personaggi e trame di cui sono cosciente fino ad un certo punto. A volte rileggendomi mi accorgo quasi che hanno vita propria.
Parlaci dei tuoi scritti; di come sono nati e se se rievocano vicende realmente vissute oppure di pura fantasia.
– “La magiara” è il mio primo romanzo, ed è stato scritto nel periodo in cui lavoravo a Ferrara, una città che già avevo frequentato per anni grazie ai miei studi e che ha quindi svolto il ruolo di incubatrice delle mie passioni e dei miei desideri espressivi. Ho qui unito l’amore per gli anni venti e la ricerca sulle tematiche al femminile, sviluppando il personaggio di Agnese, forse uno dei miei personaggi a cui sono più legato. Il romanzo è poi uscito dalle stampe. Ho poi pubblicato con Youcanprint “Ciò che resta del silenzio“, che invece si basa su eventi realmente accaduti, ovvero il bombardamento di Marradi che ha visto diverse decine di vittime, fra le quali il mio bisnonno Domenico Fabbri e sua figlia Maria, la sorella di mio nonno. L’imbastitura è reale, così come diversi riferimenti storici e persone realmente esistite, ma questi punti fermi sono stati corredati da un filo narrativo che spazia fra la finzione e la presunta realtà dei fatti. Un bell’esperimento che mi ha dato modo di viaggiare nel tempo e conoscere un pochino meglio la mia famiglia.
L’ultima mia pubblicazione è con goWare, si intitola “Il canto degli inquieti spiriti ” e mette in primo piano le vicissitudini del soldato Alessandro Bonforte, personaggio ispirato al fratello di una mia bisnonna ma anche alla figura del poeta Dino Campana. Ci sono diversi elementi che mi hanno influenzato nella creazione di questo romanzo, e tutti si uniscono per creare una trama a volte volutamente confusa e frammentaria, vera manifestazione di ciò che voglio comunicare al lettore. Questo però è tutto funzionale ad una comprensione del romanzo che ritengo si avveri solo nella parte finale, dove la narrativa diviene, a mio avviso, più lineare.
Cosa descrive il tuo ultimo progetto editoriale?
– Ho voluto dar voce ad un personaggio che rappresentasse quella generazione perduta, quei soldati che partendo al fronte, giovanissimi, hanno messo la patria davanti a tutto, a favore e a scapito del loro stesso avvenire. Le commemorazioni del secolo che ci separa dal primo conflitto mondiale sono diverse, anche se ridotte nella risonanza mediatica e nella prospettiva con la quale sono ideate. Credo che anche per questo io abbia sentito l’esigenza di “sentire” la voce di quella generazione, di sviluppare una conoscenza più emotiva e umana di quello che le trincee hanno riservato a quei giovani.
Che consiglio daresti a scrittori emergenti per valorizzare il proprio percorso artistico?
– Il consiglio più spassionato è quello di seguire le proprie intuizioni. Si deve scrivere ciò che più viene naturale, non c’è altra regola da seguire, ed è l’unica che mi sono imposto. In fondo per me scrivere è, appunto, una ricerca. E presumo questo valga anche per ogni altro scrittore, perché è vero che c’è una produzione scritta, un elaborato individuale e personale, ma questa stessa creazione è frutto di uno studio su noi stessi e sul modo in cui vediamo la realtà. Ci dice molto di noi stessi.
Ritieni sia necessario avviare un progetto di scrittura che sia in grado di lasciare una traccia emozionale per raggiungere un pubblico più ampio di lettori oppure l’opera narrativa non ha necessariamente un finale delimitato ma come per un componimento poetico potrebbe mutare evoluzione nel suo percorso?
– Sono entrambe posizioni legittime. Dal mio canto ho quasi sempre voluto mettere i puntini sulle i. Mi piacciono i finali aperti, le interpretazioni del lettore, e l’idea che vi sia un coinvolgimento attivo da parte di chi legge.
Per questo, nei limiti del possibile, l’interpretazione è sempre favorita nei miei scritti, pur non avendo mai il sopravvento.
Progetti futuri?
– Mi piacerebbe riportare “La magiara” alle stampe e lavorare su un seguito. Ho anche altre idee, ma non è nel mio carattere di parlarne troppo finché non prendono una vera e propria forma e finché non si presentano anche a me in maniera delineata. Di sicuro mi piacerebbe esplorare altre epoche storiche, non troppo lontane dal nostro presente. Il romanzo storico ha questo bellissimo vantaggio: permette di viaggiare nel tempo e di orientarsi in costumi e pensieri che appaiono diversi ma che, in sostanza, sono sempre un parallelo con la nostra contemporaneità!
A cura di Gioia Lomasti e Marcello Lombardo