Versi Prigionieri raccolta poetica di Salvatore Gurrado

Esce nel mese di Novembre 2017 la nuova opera poetica Versi Prigionieri di Salvatore Gurrado, Edizioni Boopen – Photocity.it ISBN: 978-88-6682-882-2. Immagine di copertina a cura di Gioia Lomasti e Marcello Lombardo.

Introduzione alla poesia e letteratura

“Il poeta custodisce d’eterno al poetare”

Gioia Lomasti

 

                 “Se non avessi fatto altro nelle mie tante vite, l’invenzione e la realizzazione di una poesia scenica del dolore basterebbe da sola a marcare i millenni  di non-storia della Poesia.”

Quando si introduce un poeta contemporaneo dello spessore di Salvatore Gurrado non è affatto facile; il cardine segnato dal difficile percorso quotidiano irrompe nella genialità dei suoi scritti. Indelebile è il sentire che si appresta alla esultanza delle sue numerose manifestazioni pubbliche, che recano dimora alle sue parole; il poeta declama versi d’alte assonanze che pian piano riflettono l’ascesa, per poi improvvisamente perire, per avvertire quell’attimo di mancamento, come una vertigine che va a scomporsi oltre la superficie. La singolarità percepibile dagli scritti dell’autore in poesia e filosofia, suscita silenzi che annunciano risposte.

La poesia è quel respiro per evadere dalla morte”. Da questa massima viene in mente la celebre locuzione del poeta latino Orazio che invita al Carpe diem, cogli l’attimo. Diceva “Jonh Keating”, “Cogli l’attimo, cogli la rosa quand’è il momento, perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo e morirà”.

Salvatore Gurrado compie in pieno questo incipit filosofico, ne capovolge anche la missione indirizzandola verso un senso più ad ampio respiro. È riuscito a cucirsi tutto l’istante addosso, questo attimo, inesorabilmente fuggevole come dice nella sua seconda pubblicazione poetica e si è dibattuto nel suo personalissimo malessere, nell’arte e nella vita.

Nella storia della letteratura poetica, la percezione dell’autore non è molto distante da Eugenio Montale nella raccolta “Ossi di Seppia”. Nonostante la giovane età, ci si trova di fronte ad un “vecchio saggio” talentuoso, che avverte su di sé un incombente peso, quello della sua esistenza, come un macigno, una croce storica, un passato che si ripete nelle sue sordi origini per la vocazione letteraria, a quel disagio interiore, o forse il senso di un precludere che trova rifugio all’insegnamento della scrittura persuasiva occupandosi di recensioni a testi di poesie, correzioni bozze, scrittura di testi probanti per numerose redazioni come viene proposto il profilo autore nei suoi numerosi canali web. Segue poi anche la sua formazione culturale “Laurea in Filosofia”; scrittore e filosofo prestato alla poesia cosi dichiara lui, due libri di poesie all’attivo, “Cieli di terra, e Sotto la Superficie”, poi un saggio di filosofia “Dietro le macerie di una Filosofia avvenire”. Il suo impegno verte anche a fronte del suo paese emergendo e lottando per i suoi ideali. Un analisi poetica delle sue opere è un operazione difficile, perché collima nelle sue liriche i massimi stadi dell’essere umano, avvicina i patimenti umani con una leggerezza scenica, dal malessere poetico di Eugenio Montale, passiamo alla tristezza del talento e senso di inadeguatezza Leopardiana, per poi finire con un raccordo musicale “l’inno alla Gioia di Ludwig Van Beethoven”. L’autore rappresenta certamente un misto tra cultura poetica e musicalità del verso. Se la lettura della poesia in generale, è difficile di per se, quella italiana rappresenta per il grande pubblico una riconquista. La Poesia in Italia, più che altrove, è stata la prima forma espressiva di una lingua, senza dubbio quella che più a lungo ha rappresentato la voce autentica dei popoli (la vox populi). “Non si abita un paese, si abita una lingua” diceva Emil Cioran (poeta e filosofo rumeno). Si può facilmente concordare che nessun arte come nella poesia, ci consente di seguire la complessa evoluzione di un’identità culturale di un’intera lingua che cambia nel corso dei secoli.

Versi Prigionieri di Salvatore Gurrado

Versi Prigionieri di Salvatore Gurrado

La poesia di Salvatore Gurrado sembra aver subito il coinvolgimento sentimentale delle sue vicende personali che lo hanno colpito fin dalla tenera età. “Ora, mentre penso, ogni singolo evento della mia esistenza confluisce nell’istante, l’odore delle case, il sapore della merenda. Tutti i tramonti, il mare, le ferite, i giardini perduti in un letto d’ospedale, le cicatrici”. Tracce che non riguardano solo la fisicità, ma intaccano l’anima, e disegnano nuovi percorsi di vita. Gurrado si esprime in questi termini come se ci fossimo inoltrati in una stanza segreta ad ammirare i quadri di “Vincent van Gogh” ove evadere e colmarsi all’arte nelle sue molteplici forme, L’esperienza vissuta intensamente è maestra di vita, ma tanto vale, errare nuovamente poiché “Questo e il mio fare, nelle diverse forme d’unico cammino, nella continua ricerca di questo misterioso disegno, nell’esplorare ed esprimere la potenzialità ricevuta malgrado ogni tempesta, persino in mezzo ai dolori atroci e tutte le mancanze da bambino, con tutti i disincanti, le perdite, le fratture al corpo, questo far mio, questo è il mio fare… il modo che trovo per onorare la Vita, e lo faccio semplicemente perché posso, in ogni tratto della mia vita ogni situazione è presente e nessuno è stato dissolto nell’oblio”. Secondo il filosofo a suo dire lui sarebbe “prestato alla poesia”, secondo il suo pubblico di lettori,  Salvatore Gurrado ha un assoluto talento per la vocazione poetica; in pochi versi riesce a unificare le epoche che hanno dato vita alla storia della poesia associandone gli stili in liriche uniche. Secondo l’autore sarebbe proprio il potere a distogliere il libero arbitrio, poiché, afferma che ogni suo pensiero-lavoro, scaturisce da un movimento gestuale, intuitivo, quasi caotico che si sviluppa via via nella configurazione delle forme sformate, o semplicemente per una mancanza stilistica. Chiama il suo pensiero organicità, dagli studi filosofici, è soprattutto l’incontro immaginario con i “Cattivi Maestri” che hanno influenzato la psicologia, e la forma vitale dell’essere del poeta, nel discendere a più miti consigli torcendone la sua personale visione dell’esistenza in generale.

Si ritrova nella frase di Carmelo Bene: “Io sono già un classico perché vivo nell’eternità, sono eternamente vivo”. Affermazioni che si allontanano dal pathos della spiritualità francescana, segnata dall’umiltà dell’esistenza, si avvicinano alle deduzioni filosofiche di Camus, riscontrate nel “Caligola”, si descrive con poche pennellate, come un cristallo di morte perché ha osato collocarsi al di la del desiderare.

Gran parte delle liriche di Salvatore Gurrado vertono sul assaggiare i limiti di un progetto scenico del dolore, talvolta quasi narrativo, si passa da una lirica breve incisa, ad un’altra di carattere personale che risente quasi dell’intera tradizione poetica, una sceneggiatura del dolore tra il verismo ed il falsificazionismo, una “morte da vivo”. Sotto questo aspetto questo libro di liriche del poeta contemporaneo Salvatore Gurrado, si differenzia dalle altre due versioni poiché rappresenta, per certi versi una vera novità con un raggio di esplorazione così ad ampio “respiro poetico”. La novità di questo progetto auguriamo possa diventare una collana, che aprirà il suo respiro al mondo. Nella poesia viene elaborato il suo “essere” attraverso i percorsi di una “cieca vita priva di ostacoli”, una metafora possente.

Questo progetto avvia il primo piano di riflessione; sulla metafora del poeta di cui la citazione viene attribuita all’autore in una sua intervista, che poco dopo la userà anche nella presentazione del suo secondo libro di poesie come locuzione metaforica, per descrivere la sua vita nella poesia e nel quotidiano. Gurrado resterà un paladino che si impegna contro un deserto arido di errata competenza della cultura.

La poesia dell’autore vive di una “rara” bellezza; ci si trova di fronte ad uno dei poeti “meno felici”, che sa produrre un dispiegarsi di forte unione nella sua arresa condannata in un senso di vertigine di fronte alle sue allitterazioni e suggestioni evocate dalle parole, le stesse che sanno scavare ed emozionare.

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