Intervista di Gioia Lomasti e Gaetano Cuffari a Norman Zoia

Norman Zoia
Vetrina delle Emozioni ringrazia l’eclettico Norman Zoia per averci riservato questo incantevole contributo riconducendoci nel suo percorso artistico.
Poeta e parolista, musicista e performer, Norman Zoia opera nel mondo dello spettacolo e della cultura dal 1965 (dapprima con lo psudonimo Norman Popel e dal ’79 riprendendo il cognome originario). Si è occupato di musica e recitals. Ha scritto quasi tutte le liriche per i brani in italiano di Pino Scotto e Vanadium collaborando inoltre con diverse testate giornalistiche.
Tra le canzoni interpretate spiccano Ghiacci Ammoniacali e Daiquiri Blues. Molti poi i suoi interventi critici nel campo delle espressioni visive. Nel 2013 è uscito, sotto forma di multiplo letterario, un suo Omaggio alla poesia di tutti i tempi e spazi sintetizzata nel libretto “passi perversi” – Collana del Blunario /Fuzzbook’:s, dedicato alla figlia Tosawi, attrice e doppiatrice.
Fonte: www.eulaleia.eu
Potresti spiegarci il significato che attribuisci all’aggettivo artista “fuori pista” nel quale ami definirti?
Fuoripista, scritto tutto attaccato, come un’identità. Consapevole di aver marciato e continuare a farlo dalla parte oscura del marciapiede, alla Lou Reed. E in direzione ostinatamente contraria, per dirla col nostro comune amico fragile De André… insomma per certi & incerti versi abbastanza border line.
Quanto è stato importante per il tuo percorso artistico navigare in tale dimensione?
Pur avendo spesso calcato palchi e pedane, perlomeno fino a qualche anno fa, mi sono comunque sempre sentito più autore che interprete. Giocoforza lo stare defilato, dietro le quinte, mi veniva e mi viene ancora spontaneo. Lasciandomi inoltre maggior spazio-tempo per la riflessione.
Nel corso degli anni hai avuto la possibilità di farti apprezzare cimentandoti attraverso diverse forme d’arte. Reputi l’arte un accrescimento del nostro io?
L’arte, nelle sue varie declinazioni, la poesia in primis, non accresce solo il nostro io, ma il nostro noi.
In “passi perversi” hai messo a punto quaranta omaggi per quegli autori, noti e meno noti ma tutti di indiscusso significato, che ti hanno ispirato gli speciali passaggi del succitato libretto (Passaggi, come il titolo di un libro fotografico sulla tua città in riva alla Livenza per il quale hai scritto la prefazione). Passaggi che sono Omaggi. Fra gli altri a Quasimodo, Leopardi, Carducci, Baudelaire, Ungaretti, Ginsberg, Saffo, De André, Alda Merini, Emily Dickinson, Lucio Fontana, Eduardo De Filippo, Patrizia Valduga, San Francesco, Puccini, Marilyn, Carmen Consoli, Gaber, Nurejev, Donatella Finocchiaro, Tagore, Giacomo Fudenji Seccafien, Claudio Rocchi, Van Gogh e Gioia Lomasti che chiude quello che chiami un Rosario. Come nasce l’idea di questo tuo progetto?
Diciamo che me la sono trovata pronta. Il più era stato scritto in quasi mezzo secolo. Me ne sono accorto negli anni zero (o due punto zero se vogliamo) di questo famigerato terzo millennio. A quel punto si è trattato di un lavoro a levare, quasi scultoreo, lasciando in evidenza quei richiami d’ispirazione più pura e più asciutta.
Immergendosi dentro questo multiplo letterario da te ideato sembra quasi di scorgere tra le righe un invito a chi, come te, nutre amore per l’arte in generale e per la poesia in particolare. Esiste forse un filo conduttore che lega gli artisti “di tutti i tempi e spazi” citati nella tua opera?
Esattamente. È come un leitmotiv, un codice che si lascia corrompere talvolta e che tuttavia, per qualche divina ragione, si ricompone nella partitura di ogni disciplina creativa.
Lungo il suggestivo percorso tracciato da questi “oscuri richiami” a un dato punto ci si imbatte nella domanda “cos’è questa cosa che mi imbianca gli occhi” della piccola Giada Curtolo alla mamma, durante una mattina nebbiosa… L’innocenza di questa domanda all’interno dei tuoi poetici “passi perversi” appare quasi un monito che rimanda a significati metaforici a dimora di situazioni molto più complesse o resta completezza del pensiero fine a se stesso di unica-unicità?
Della metafora, come di altre figure retoriche, si nutre la composizione: un verso, una nota, un segno, un colore, un gesto, un racconto… La regressione all’innocenza rappresenta un traguardo, dimostrando poi che l’intuizione ce l’abbiamo dentro da sempre, anche se non tutti, come la piccola Giada, sono attrezzati per comunicarlo.
Come definiresti il panorama poetico italiano attuale?
Con la Rete tutto si è amplificato. Pertanto c’è da stare in Campana (giusto per citare, nel contesto della locuzione gergale, l’autore dei Canti Orfici). Ovvero, temo siano tanti, troppi, coloro che hanno più scritto di quanto abbiano letto.
A tuo giudizio, considerando i tempi “bui” nei quali è sprofondato il nostro paese da un punto di vista socio politico, l’Arte in genere può ancora rappresentare un viatico di rinascita e di riscatto?
L’Arte (e la poesia, quale sua forma più alta e popolare ché per esercitarla basta una penna e un foglio o anche solo una buona memoria), l’Arte quindi, come dall’attacco di passi perversi, è rivoluzione e fa miracoli!
Nel mese di dicembre una tua prossima presentazione vede PROSODIE IN BOP MINORE – happening, consolidando al progetto “passi perversi” la nascita di “grido di natale”, un verso di nuovo connubio. Potresti darcene qualche anticipazione?
Ho deciso di ripescare, soprattutto dai favolosi anni sessanta, il mio lato Beat, in contrapposizione ai cavolosi anni novanta e a seguire. Ho cioè aggiornato stralci di prosodia e di pièces declamate in prima persona non solo in Teatri e Gallerie, ma altresì in luoghi meno canonici: sagrati delle chiese, centri sociali, fabbriche occupate, stazioni radio, cabaret, piano bar… Strizzando l’occhio a quell’altro sogno, non dell’America politica, di quella poetica.
Entro quest’anno, una nuova opera poetica riserverà una tua dedica all’autrice e realizzatrice della stessa, Gioia Lomasti (citandone ora in esclusiva il titolo “DolceMente al Soffio di De André”, opera impreziosita per gentile concessione dalle meravigliose linoleografie di Stephen Alcorn), quale contributo alla rappresentazione d’immagine di copertina in questa silloge liberamente ispirata alle canzoni del “cantautorpoeta” come ama definirlo l’autrice & poeta Gioia Lomasti. Oltrepassando gli eccelsi contributivi unificati dal progetto in se, ritieni che Fabrizio De André possa rappresentare una sempre nuova fonte d’ispirazione a nuovi concetti di creazione artistica sul fronte poetico e cantautorale?
Mi è già capitato di sottolineare che tutti (o quasi) gli artisti italiani, consolidati e no, hanno un debito con Faber. Un debito che anche le future generazioni non potranno sconfessare. Perché lui era così unico, eppur così universale.
A cura di Gaetano Cuffari e Gioia Lomasti