SOLTANTO IL CIELO NON HA CONFINI – Guido Mattioni

Soltanto il cielo non ha confini - Guido Mattioni

Soltanto il cielo non ha confini
Guido Mattioni
inkedizioni.com

“Faceva caldo, quella notte a El Paso…”

Sono passati tanti anni – era il maggio del 1986 – ma ancor oggi Guido Mattioni ricorda benissimo. Ricorda tutto: luoghi, volti, sensazioni, perfino l’odore che aveva allora il buio texano lungo la sponda del fiume Rio Grande, al confine con il Messico, lì dove la sonnacchiosa El Paso si fronteggia con l’inferno a cielo aperto della dirimpettaia “chicana” Ciudad Juarez, da anni ormai la capitale mondiale della criminalità. “Sì, perché anche il buio può avere un odore. Io sono un totale disastro quando si tratta di tenere a mente nomi e date, e purtroppo lo ero anche a scuola, l’età non c’entra anche se quella non la posso ahimè dimenticare; ma il resto lo tengo tutto registrato nella memoria, come su un nastro magnetico”.

E lui di cose viste, e quindi da ricordare, ne ha tante. Classe 1952, udinese di nascita e milanese di adozione, Guido è un giornalista di lungo corso che nella sua carriera ultratrentennale, iniziata nel 1976 come semplice corrispondente locale dal Friuli con un direttore del calibro di Indro Montanelli – che lo volle poi in redazione a Milano – ha ricoperto via via quasi tutti i ruoli professionali: da cronista a caporedattore, da vicedirettore a inviato speciale. Ed è soprattutto in quest’ultima veste che ha girato in lungo e in largo il mondo, in particolar modo l’America, Paese che percorso quasi per intero. “Sono arrivato a quota 37 Stati visitati sui complessivi 50 dell’Unione”, precisa.

Così, era quasi naturale che una volta smessa l’attività giornalistica, per dare sfogo alla sua inesausta voglia di scrivere nella nuova veste di narratore, lui scegliesse di ambientare i primi due romanzi proprio negli Usa. Con il primo, “Ascoltavo le maree” (Ink Edizioni, 2013, quattro edizioni in un anno, migliaia di copie vendute, nonché adottato come libro di testo nei corsi di Italiano alla Georgia State University di Atlanta ) ha portato i lettori a Savannah, la bellissima città coloniale della Georgia della quale è anche cittadino onorario dal 1998; mentre con il secondo, “Soltanto il cielo non ha confini” (200 pagine, 14 euro, sempre Ink Edizioni), uscito da pochissimi giorni, il 30 aprile scorso, la narrazione conduce ancora più a Sud, lungo il confine “caldo” e pericoloso con il Messico.

Quella notte del 1986, a El Paso, Mattioni era riuscito ad aggregarsi come giornalista embedded a una pattuglia del Border Patrol, la polizia di confine americana chiamata a controllare 24 ore su 24 gli oltre 2mila chilometri di confine tra i due Paesi, dal Pacifico alle spiagge del Golfo del Messico. “Volevo raccontare ai lettori italiani (allora lavorava per il settimanale Epoca, della Mondadori, ndr) un fenomeno che a quel tempo non conoscevano nemmeno per nome: immigrazione clandestina. Da noi sarebbe diventata attualità soltanto a partire dai primi anni Novanta, con l’arrivo delle navi e dei gommoni dall’Albania. Negli Usa era invece un tema scottante e di dimensioni quasi bibliche già allora, con un migliaio di passaggi clandestini ogni ventiquattr’ore”.

Quella notte, appunto, lui fu testimone diretto, anche grazie a un visore a infrarossi prestatogli dagli agenti, di quanto succedeva (e succede ancora) al calare del buio lungo il Rio Grande, fiume che a dispetto del nome altisonante scorre invece lento e poco profondo; a El Paso è poco più di un rigagnolo, favorendo così i gruppi di disperati che lo attraversavano con l’acqua alla cintola, con un sacco di povere cose tenuto sulla testa, ma soprattutto con un sogno dentro. Il sogno americano.

 

Guido Mattioni

Guido Mattioni
© QGPhotoStudio

Nel suo nuovo romanzo Mattioni racconta appunto l’inseguimento dell’American Dream da parte di due giovani messicani, Hernando e Diego, fratelli gemelli che passano quel confine in tempi diversi e l’uno all’insaputa dell’altro, dando vita a una vicenda in cui violenza e affetti, avidità e altruismo, tragedia e farsa, ma anche i beni preziosi e universali rappresentati dalla natura e dalla terra, si intrecciano in un “page turner” mozzafiato fino all’ultima pagina, prima di arrivare alla più imprevista delle conclusioni.

Come ha scritto in una più che lusinghiera prima recensione Piero Melati, sul Venerdì di Repubblica, Mattioni “si è avvicinato alla materia con la stessa urgente necessità che hanno avuto prima di lui Roberto Bolano, Don Winslow, Cormac McCarthy, insieme a un lungo rosario di giornalisti infelici e sconosciuti che quella stessa linea di confine hanno bagnato con il loro sangue”.

Mattioni conferma di amare molto il genere narrativo che in America va sotto il nome di New Journalism – “Adoro Tom Wolfe e la sua scrittura!”, ci rivela – e nel quale una vicenda vera o comunque plausibilmente ripresa ed elaborata a partire da fatti realmente accaduti assurge a livello di dignità letteraria. “Ammetto i miei limiti – spiega Mattioni -. L’aver fatto per tutta la vita il giornalista, testimone quindi della cronaca per come e’ e non per come vorresti che fosse, mi ‘condiziona’ nella mia dimensione di romanziere. Nel senso che io posso scrivere soltanto di personaggi reali, mentre non riuscirei mai a entrare nella dimensione narrativa del fantasy: ho bisogno di personaggi che siano uomini e donne veri, come quelli che incontriamo ogni giorno per strada, sul lavoro, nel traffico. E poi sinceramente… lo posso dire? Detesto con tutto il cuore certi maghetti saccenti e occhialuti”.

A cura di Vetrinadelleemozioni.com

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