UNIONE MISTICA
Riflessioni di Stephen Alcorn sull’importanza della unificazione delle facoltà mentali analitiche e intuitive nella pratica del disegno della figura umana
Leonardo da Vinci, nato il 15 aprile del 1452 ad Anchiano di Vinci,in provincia di Firenze, fu definito il genio del Rinascimento, il primo artista nel senso moderno, vale a dire un artista intento a incrementare la sua comprensione attraverso un’indagine irrequieta imperniato su processi di osservazione, di paragone e di analisi, sia del mondo fisico che della psicologia umana.
Leonardo ebbe come predisposizione innata la scienza: “Volle scoprire come funzionano le cose” per dirla in parole povere. Annotava le sue informazioni in pagine di taccuini e disegnava diagrammi per inventare soggetti meccanici. Non dobbiamo dimenticare che molte altre indagini avevano che fare con quello che possiamo definire arte, per esempio il modo in cui la luce definisce una sfera, o in cui un’immagine viene trasmessa all’occhio umano. Da Vinci non fece alcuna distinzione tra le forme del sapere, per scienza e arte erano tutt’uno e intuì che l’immaginazione può operare in una maniera più intuitiva.
Nel “Trattato sulla Pittura” Da Vinci spiega questo modo “contrario di operare” nel passaggio che segue:
“Non resterò di mettere fra questi precetti una nuova invenzione di speculazione, la quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno è di grande utilità a destare l’ingegno a varie invenzioni. E questa è se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o in pietre di vari misti. Se avrai a invenzionare qualche sito, potrai lì vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure grandi, valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverso battaglie ed atti pronti di figure strane, arie di volti ed abiti ed infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e buona forma; che interviene in simili muri e misti, come del suono delle campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabolo che tu t’immaginerai.”
In seguito l’artista rinnovò questa raccomandazione in una forma leggermente diversa, consigliando al pittore di studiare non soltanto le macchie sui muri, ma anche “la cenere del fuoco, o nuvoli o fanghi, od altri simili luoghi, ne’ quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime… perché nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni.” Però al tempo avvertiva: “Ma fa prima di sapere ben fare tutto le membra di quelle cose che vuoi figurare, così le membra degli animali come le membra de’ paesi, cioè sassi, piante e simili”.
La Macchia ed il Diagramma: due termini significativi, in quanto indicativi dei due poli opposti delle nostre facoltà mentali e della dicotomia, dalle quali si suppone che dipenda la creazione di ciò possiamo definire arte.
Una simile impostazione richiama le idee di Benedetto Croce sui principi estetici e in particolare la convinzione che l’arte non sia connessa con le nostre facoltà razionali, ma con quelle istintive/intuitive. Questo rappresenta, in realtà, una regressione, un ritorno ad un’idea antica. Molto prima che Leonardo consigliò agli aspiranti pittori di far sorgere ispirazione ovunque, anche dalle macchie sui muri.
Gli artisti hanno ammesso e riconosciuto la natura Dionisiaca dell’arte, ma hanno anche riconosciuto che la frenesia dell’ispirazione deve essere assoggettata a determinate leggi e alla capacità dell’intelletto di trasformare il chaos in ordine armonioso.
Questo concetto che possiamo definire a tutti gli effetti un principio filosofico generale dell’arte, deve tuttavia essere concretizzato con tecniche appropriate. Per esempio è stato necessario acquisire la padronanza di certe leggi e saper usare l’intelletto per poter costruire le cattedrali gotiche, o per realizzare le vetrate di Chartres o per fondere in bronzo le Porte del Paradiso del Battistero di Firenze. Quando questa unità smise di dominare la visione dell’artista, come fu per Leonardo, la prospettiva e l’anatomia finirono per dominare l’arte per oltre quattro secoli.
Da un punto di vista puramente artistica non erano strettamente necessarie, poiché nei luoghi in cui non si conoscevano né la prospettiva né l’anatomia vennero creati ugualmente dei capolavori ineguagliabili. I Cinesi, infatti, produssero I paesaggi più raffinati mai dipinti fino ad oggi, senza avere alcuna sapienza sistematica della prospettiva. La scultura greca raggiunse il suo apogeo prima dell’avvento dello studio dell’anatomia. Ciò nonostante, dal Rinascimento in poi, I pittori hanno considerato sia la prospettiva che l’anatomia necessarie per coltivare un’arte intellettualmente rispettabile.
Nel XIX secolo, la convinzione che l’arte fosse un’attività scientifica declinò per una varietà di motivi. La scienza e la tecnologia optarono per la specializzazione. I romantici, nonostante la loro fiducia nell’ispirazione, furono consapevoli dell’impoverimento dell’immaginazione avvenuto quando la scienza ha cessato di essere a portata di mano.
D’altra parte, la scienza non può essere una sostituta per l’arte. I processi mentali possono essere simili (entrambe le discipline richiedono sia curiosità di spirito che una dedizione all’attività di ricerca nel senso più profondo), ma gli obiettivi sono diversi, anche se è l’unione fra la cosiddetta “macchia” (d’ispirazione emotiva) e il cosiddetto “diagramma” (di ispirazione fisico-scientifica), è ciò che dà all’arte un suo valore intrinseco. Potrà mai essere ristabilita una simile unione delle nostre facoltà, emozionali e logiche?
Aspiranti artisti in procinto di entrare una tipica scuola d’arte, oggi entrano in un mondo dove verranno spinti a coltivare specializzazioni che impediscono discipline disparate ad interagire in maniera significativa: un mondo Post-Duchampiano evasivo in cui la teoria viene sistematicamente divorziata dalla pratica, in cui standard d’eccellenza universali sono elusi o rifiutati. Inevitabilmente, ciò che spesso emerge da questa proverbiale torre d’avorio è un’arte eccessivamente soggettiva, ovvero un’arte basata sull’accidentale anziché sulla “regola”; un’arte predicata sulle “macchie sui muri” (o sulla mente inconscia) anziché sul “calcolo”, interiore anziché esteriore. Si tratta di un mondo in cui nuove standard vengono create a fine di accomodare la mediocrità, ed in cui il rispetto per la tradizione viene presa per mera nostalgia e dove le tecnologie analoghe sono considerate obsolete e la pratica di disegno dal vero è stata abbandonata.
Un percorso alternativo aspetta coloro che, al contrario, sono dedicati a coltivare una carriera nel reame delle arti applicate, per esempio nel campo dell’illustrazione medica-scientifica. Malgrado gli studenti appassionati di disegno dal vero possono formarsi in questo settore, la qualità della loro educazione sia tecnica che filosofica può risentire degli effetti deleteri della specializzazione. Ho avuto occasione di osservare corsi di disegno dal vero, in cui lo studente in questo lasso di tempo disegnava la testa (e quindi il volto), è proibito. Inoltre, è consentito l’utilizzo di una sola gradazione di grafite (2H).
Questo approccio pedagogico rappresenta un regresso verso una forma di insegnamento altamente impersonale, in cui la modella viene trattata come un oggetto inanimato. Questa spersonalizzazione del soggetto umano porta a realizzare un’enorme quantità di rappresentazioni della figura umana per lo più omogenee, invariabilmente grigi e, di conseguenza privi di una scintilla di vita. Questo dimostra che le metodologie avanzate nel passato dalla tradizione Beaux Arts, per quanto riguarda sia la misurazione che la trascrizione della figura umana, possono, se non si presta attenzione, degenerare sino al punto di soffocare, a nome della precisazione e dell’accuratezza, gli impulsi istintivi di chi sta imparando a disegnare dal vero la figure umana.
Paradossalmente, questo approccio così calcolato anziché coinvolgere artisti aspiranti con cosidetto life drawing(“disegno dal vero”, come viene chiamato in paesi anglosassoni), li porta a praticare un rituale demoralizzante che si risolve in una sorta di death drawing. La prospettiva è la grande invenzione intellettuale che permise, agli artisti, di raffigurare la figura umana in relazione a spazi circostanti tramite un sistema di misura plausibile che può anche paralizzare le facoltà intuitive, permettendo di osservarla con freschezza.
Senza un equilibrio tra analisi e intuizione, esiste sempre il rischio che una freddezza “clinica” possa emergere a scapito di un calore tangibile, quindi umano. Dall’altro lato, l’abbandono iconoclastico delle tradizioni pittoriche figurative da parte della maggior parte di scuole d’arte nel corso degli ultimi 60 anni, in nome di forme d’espressioni sempre più introspettive (legittime o meno) si sta dimostrando sempre più problematico. Fatto sta che gli studenti di belle arti risentono delle ripercussioni sismiche generate dallo scisma che ha portato alla separazione tra l’impulso analitico e quello “dionisiaco”.
Un’altra alternativa pedagogica consiste nel coltivare un giardino, ovvero una serra, che permette agli studenti di sperimentare una rinnovata e proficua unione fra accuratezza della misurazione e spontaneità intuitiva, due facoltà umane complementari nel processo creativo di disegno dal vero. A questo scopo, come docente dedico la prima parte dei corsi di disegno dal vero dove insegno ai precetti su cui dipende la trascrizione fedele delle apparenze ottiche-visive, il che fornisce agli studenti una base su cui possono fondarsi le successive esplorazioni dei mezzi d’espressioni più personali, imperniati sugli elementi dello spazio, la luce, ed infine, il tempo.
Questo processo di apprendimento culmina con una serie di visite al Department of Dance & Choreography della Virginia Commonwealth University, dove i miei studenti si confrontano con gli studenti di danza mentre si allenano o fanno le prove; in altre parole devono disegnare il corpo umano in movimento perpetuo.
Il movimento impedisce agli studenti di interrompere la coordinazione mente-occhio-mano da cui dipende l’atto di disegnare. L’impossibilità di soffermarsi più di tanto a misurare e correggere i segni lasciati sulla carta da disegno, può portare alla scoperta di mezzi d’espressione nuovi ed inaspettati, imparando a disegnare alla “velocità della vista”.
Riuscendo in questo difficile esercizio, compiono un’esperienza antitetica all’approccio convenzionale, che caratterizza la maggior parte dei corsi di disegno dal vero, cioè lo si segue per imparare a disegnare la figura umana; non è né l’inizio né il traguardo finale dell’arte, ma è probabilmente il mezzo più affidabile per superare i limiti imposti dall’enfasi e dalla specializzazione, per trarre beneficio da ciò che rappresenta il rapporto simbiotico, tra facoltà analitiche e intuitive.
Desidero citare qui le parole del poeta Ennio Flaiano: “Quando la Scienza avrà messo tutto in ordine, toccherà ai poeti mischiare daccapo le carte”.
Nei miei corsi, chiedo che gli studenti riempiano di disegni un taccuino di ampio formato. Partecipando a questo esercizio giornaliero, non mi presento come il Professore “fonte di saggezza”, ma come un catalizzatore dell’attività di apprendere con umiltà.
In questo modo, l’atto di insegnare diventa assimilazione. Il risultato di questa strategia pedagogica è duplice: da una parte, gli studenti tendono a rispettare un docente che si comporta secondo le norme della professione di cui ambiscono di fare parte; dall’altra, il docente impara a riconoscere e comprendere gli sforzi compiuti dagli studenti durante i compiti impegnativi a cui si dedicano.
I disegni riprodotti in questo articolo sono emblematici: grazie alla mia partecipazione giornaliera nelle lezioni di disegno agli studenti della Virginia Commonwealth University (più specificamente del Department of Communication Arts). È un angolo del mondo in cui la pratica del disegno della figura umana continua a svolgere un ruolo vitale e determinante nella formazione artistica degli artisti aspiranti.
A cura di Gioia Lomasti – impaginazione curata da Marcello Lombardo
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