Fabrizio De André un Principe Libero recensione di Ivan Cavallo e Gioia Lomasti

Principe Libero Fabrizio De André

Non sarebbe possibile sintetizzare in poche righe la ricchezza di un emozione, ma vogliamo esprimere il nostro riconoscimento ad un film autentico;  verità di scelte in cui in questo viaggio si ritraggono le direzioni, il dolore e la vittoria unita a quella voce che portiamo nel cuore e che grazie a progetti come questo sapranno d’infinito…
“In passaggi e passaggi, passaggi di tempo”, viene racchiusa l’emotività della vita, l’amore unito all’avvenire, la musica, il canto e la poesia che ne trovano l’essenza d’abbraccio nell’arte eterna.

“Un ridere rauco e ricordi tanti e nemmeno un rimpianto” queste sono le prime parole che descrivono con compimento ciò che si prova guardando il film Fabrizio De André – Principe Libero regia di Luca Facchini; uno straordinario Luca Marinelli nelle vesti del caro Fabrizio che lo porta a noi. Un ridere rauco perché mette in evidenza la battuta pronta, lo spirito e la vivacità di un artista, nonostante sia pieno di incertezze su quello che era davvero la sua strada dell’essere cantautore, riesce comunque a sorridere alla vita e a ciò che si presenta dinnanzi. Ricordi tanti perché ammettiamolo, in alcune riprese il regista riesce a far comparire davanti l’immagine di Fabrizio attraverso Luca Marinelli, nonostante il suo accento romano che non ci sentiamo di giudicare perché, come affermato da lui, va cercato il proprio Fabrizio interiore e non una imitazione che farebbe rabbrividire o addirittura adirarsi lo stesso Fabrizio. Nemmeno un rimpianto per aver assistito a più di tre ore di film, che ha evidenziato chi era davvero Fabrizio, la sua costante ricerca della perfezione (sindrome di qualsiasi artista), nelle sue opere e la paura della critica esterna, ma allo stesso tempo la grandissima forza nel continuare a scrivere quelle poesie per voler stare accanto al suo pubblico fatto degli “ultimi” e, per dar loro una seconda vita e in un certo senso un’immortalità tramite le sue canzoni. Non mancano a nostro parere delle annotazioni che però forse dovevano risaltare maggiormente, sull’argomento che riguarda l’album “La Buona Novella” del 1970.

Locandina Principe Libero

Erano gli anni dei moti rivoluzionari del ’68, nei quali per la prima volta studenti e operai scendono in piazza per far riconoscere i loro diritti, lottando fino allo stremo, occupando scuole e università, facendo manifestazioni e formando gruppi dove venivano letti e studiati autori e poeti completamente assenti nelle scuole e nelle università. È in questo clima che cantautori come Guccini scendono in campo con canzoni come Eskimo, ma Fabrizio no, lui è diverso, lui racconta di un dio che ha sempre definito come “il più grande rivoluzionario di tutti i tempi”, e lo fa affidandosi alle parole dei vangeli apocrifi banditi dalla chiesa. Ed è così che prendono voce Tito, Dimaco, la Madonna nelle varie fasi della sua vita partendo dalla giovinezza (L’infanzia di Maria), fino ad arrivare alla perdita del figlio (Tre madri), Giuseppe, che tornato a casa dopo molto tempo trova sua moglie incinta e non si spiega il perché. Ovviamente tutto questo fu un concetto impensabile per quei tempi, tant’è vero che molti si schierarono contro, ma la sorpresa arriva quando è proprio la Radio Vaticana a pubblicare i pezzi della Buona Novella. Uno “scandalo” non di poco conto. La presenza di una figura importante nella vita di Fabrizio come Nanda Pivano, viene citata nel film in misura ristretta, quando si sa che grazie a lei Fabrizio scopre Edgar Lee Masters e si innamora così tanto dei suoi morti sulla collina raccontati nell’Antologia di Spoon River da creare il disco “Non al denaro, non all’amore né al cielo”. Perfetta la presenza di Tenco, Villaggio e altri grandi che influenzarono o comunque fecero parte della vita di Fabrizio; mentre il “capitolo” del rapimento di grande rilevanza ed emozione l’avremmo apprezzato forse più contenuto, per la quantità di argomentazioni della sua vita; anche se da quella esperienza Faber tirerà fuori un capolavoro come Hotel Supramonte. Un minore risalto è stato dato alla scena in cui viene contestato durante il concerto al Palaeur di Roma il 23 Gennaio del 1979, durante il quale non solo risponde a coloro che gli gridavano “venduto”, quasi difendendoli, perché secondo lui anche loro avevano diritto ad esprimere la propria opinione, ma addirittura invita il pubblico a salire sul palco per una discussione sulla questione e, successivamente chiede a loro di sedersi nuovamente o andarsene per rispetto all’altra parte delle persone che erano lì per sentirlo suonare e cantare. è poco nominato George Brassens dal quale Fabrizio trae molta ispirazione.

Incantevole e di pregio, in ogni sua  parte del film è la scelta dei tempi dei brani inseriti, che in musica e parole rendono un tributo assoluto. Ci felicitiamo che si sia avverato questo film, in quanto ha potuto contribuire alla conoscenza di una figura davvero importante quale Fabrizio; un autentico progetto che va visto con lo sguardo del cuore; Faber vive.

A cura di Gioia Lomasti e Ivan Cavallo

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